I Greci, che erano persone sagge e molto, molto serie, dicevano che la nostra identità è data dalle persone che ci circondano.
In tempi più recenti gli antropologi culturali hanno messo in evidenza come non siano i singoli individui ad agire sulla società, quanto piuttosto sia questa a determinare in gran parte i nostri comportamenti. Insomma, siamo dentro una sorta di “gabbia culturale”.
Da queste semplici considerazioni si evince quanto sia importante circondarsi di persone con le quali ci sentiamo a nostro agio, con cui condividiamo valori simili e che eventualmente “catalizzino” le nostre qualità ed inclinazioni.
Un esempio banale, e se ne potrebbero fare tantissimi: se ci piace essere attivi ed amiamo l’attività fisica, non sarà stimolante vivere in una comunità dove essere sedentari è considerato un valore.
Ovviamente questo non vuol dire evitare il confronto o l’incontro con l’altro, con il “diverso” da te. Perché è proprio grazie all’incontro con chi è differente da noi che c’è evoluzione, crescita, sviluppo. Ma in qualche modo bisogna avere una base comune di partenza, una condivisione di intenti, motivazioni, valori.
Per entrare un di più nello specifico sportivo, un allenatore deve condividere degli obiettivi con i suoi atleti, che però preferisco chiamare valori.
Perché un obiettivo può essere vincere un determinato torneo o raggiungere un determinato risultato.
Invece, se parliamo di valori, si tratta di capire ed analizzare meglio i comportamenti e le attitudini che ci aiuteranno nel nostro percorso.
Non mi piace sentire chi dice che bisogna vincere ad ogni costo. La vittoria deve essere sempre mediata da un comportamento etico.
Ho sempre pensato che flessibilità ed adattabilità siano qualità molto importanti, direi quasi indispensabili, per essere un buon allenatore. Però sui valori di fondo, quelli che costituiscono l’essenza non solo del nostro modo di lavorare, ma anche e soprattutto del nostro modo di essere, non si può transigere.
Se si è scelto di essere persone “open minded”, di affrontare la vita prendendo dei rischi (più o meno calcolati), di credere nella comunicazione verbale, di mettere passione in ciò che si fa, di affrontare con ottimismo le problematiche che a mano a mano ci si presentano, di accettare con entusiasmo e senza ansie/paure le sfide più difficili…allora bisogna relazionarsi con persone che condividano tutto ciò in grossa parte.
Due esempi semplici per chiarire i due punti appena affrontati:
Un allenatore può e deve adattarsi ad un giocatore che non vuole palleggiare perché ha paura di sbagliare. Ma un allenatore non può accettare che un suo atleta assuma sostanze proibite per migliorare la sua prestazione. Nel primo esempio si usa la flessibilità, nel secondo si rinuncerebbe ad un valore, ossia l’onestà ed il rispetto delle regole.
Da qualche mese ho sempre più chiaro in mente che nei miei futuri progetti lavorativi vorrò circondarmi di persone (atleti di alto livello? Sessantenni con la pancetta? Bambini di zone povere del mondo?) che condividano questi miei valori.
Vorrei allenare giocatori pieni di motivazioni, consapevoli ed entusiasti del privilegio che si ha nel fare l’atleta professionista.
Vorrei allenare amatori che vengono in spiaggia alle 7 del mattino prima di andare al lavoro, per correre e saltare allegri sulla sabbia.
Vorrei allenare bambini con un sorriso così, magari perché per loro già avere una palla nuova è fonte di felicità.
Chiedo troppo?
The Coach